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giovedì 28 luglio 2016

Isis, il campo di addestramento in Kosovo? È a due passi dalla base americana della Nato...e sarebbe una notizia nuova...?

Isis, il campo di addestramento in Kosovo? È a due passi dalla base americana della Nato

Secondo gli 007 di Pristina lo Stato islamico ha nel Paese almeno cinque campi di esercitazione. E il maggiore è proprio vicino a Bondsteel, la più grande struttura militare fuori dagli Usa. A fare da docenti, alcuni ex militanti dell’Uck, gli “eroi” della guerra con la  Serbia. 
Almeno cinque campi, di cui - se non tutto - l’impressione è che si sappia molto. Se la presenza di cellule fondamentaliste nell’area dei Balcani è cosa nota (due anni fa l’Espresso ne aveva censite una ventina in tutta la regione), adesso arriva la conferma dell’esistenza di un livello superiore. Prevedibile, per alcuni versi, ma finora mai resa nota più o meno ufficialmente: la presenza di campi di addestramento dell'Isis in Kosovo.
Dove gli aspiranti jihadisti di etnia albanese, oltre a studiare l’arabo e il Corano, imparano a maneggiare le armi, si esercitano col tiro e apprendono nei boschi le tecniche di guerriglia. Sotto la supervisione di ex paramilitari dell’Uck, l’esercito di liberazione dei tempi della guerra con la Serbia, considerati autentici eroi in patria (statue dedicate ai combattenti si trovano praticamente in ogni città).
Secondo fonti di intelligence citate dall’agenzia russa Sputnik i principali campi allestiti dallo Stato islamico sono a Ferizaj, Gjakovica e Dečani, mentre altri più piccoli sarebbero stati individuati a Prizren e Pejë. Anche senza conoscere la geografia del luogo, è importante tenere a mente alcune di queste località perché rappresentano l’emblema dell’incapacità occidentale di prevenire la diffusione del radicalismo islamico, visto che il Kosovo è tuttora una nazione sotto tutela Nato in cui risiedono migliaia di militari dell’alleanza atlantica. Il simbolo di questa “disfatta” è rappresentato proprio dalla città di Ferizaj, 100 mila abitanti non lontano dal confine con la Macedonia: a Sojevë, pochi chilometri fuori dal capoluogo, c’è infatti Camp Bondsteel. Realizzato nel 1999 ai tempi della guerra, col suo perimetro lungo 14 chilometri, è attualmente la più grande e costosa base americana mai costruita al di fuori degli Stati Uniti dalla guerra del Vietnam, in cui si calcola che vivano circa 7mila fra soldati e impiegati civili.


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FANTAAPERTURA-jpgI nuovi jihadisti vengono dal KosovoLe esecuzioni postate su FacebookI quattro fermi di cittadini kosovari per apologia del terrorismo non sorprendono. Come aveva raccontato l'Espresso nel 2014, sui social network molti aspiranti jihadisti si incontrano e pubblicizzano le azioni del Califfato. Così a sei anni dall’indipendenza, l’ex provincia serba si sta rivelando una fucina di estremisti

Una presenza tanto massiccia, però, non solo non ha rappresentato un deterrente per l'Islam radicale, ma non è nemmeno riuscita a impedire che l’area diventasse un centro nevralgico di reclutamento: nell’agosto 2014, nella più grande operazione mai condotta dalle autorità kosovare, su 40 terroristi arrestati ben 11 provenivano dalla città di Ferizaj. Del resto c’è poco da meravigliarsi: in passato a Camp Bondsteel, secondo una versione mai smentita, ha lavorato anche Lavdrim Muhaxheri, il comandante della famigerata “brigata balcanica” al servizio del Califfo, noto per le sue atrocità (come le esecuzioni postate su Facebook raccontate dall’Espresso). E per la base Usa sarebbe passato pure Blerim Heta, un kamikaze che poi si è fatto saltare in aria a Bagdad.
Altra città-simbolo è quella di Gjakovica, che invece è non lontana dal confine con l’Albania: nell’aeroporto cittadino ha sede il distaccamento aeronautico Amiko (Aeronautica militare italiana in Kosovo). Neppure in questo caso il controllo dei cieli da parte della missione Kfor ha impedito che l’Isis dilagasse e impiantasse nei paraggi un suo campo di addestramento, stando alle informazioni dell’intelligence. Esattamente come a Pejë, dove sorge il Villaggio Italia, e Prizren, dove la presenza dell’Alleanza atlantica è altrettanto massiccia. E pure a Dečani, dove la Nato controlla insieme alle Nazioni unite il trecentesco monastero ortodosso serbo, patrimonio Unesco, dai rischi delle violenze dell’etnia albanese. Del resto le minacce non mancano. A gennaio, ad esempio, quattro uomini sono stati fermati davanti all’entrata e trovati in possesso, a bordo della loro auto, di un kalashnikov, una pistola e diverse munizioni. Da dove venivano? Sarà una coincidenza ma a eccezione di uno, tutti erano originari proprio delle città in cui si trovano i campi di addestramento: Ferizaj, Gjakovica e Prizren.
D’altronde basta guardare ai numeri per rendersi conto di quanto la penetrazione del radicalismo islamico in Kosovo rappresenti un problema troppo a lungo sottovalutato. Secondo i dati forniti nei giorni scorsi dal ministro dell'Interno, Skender Hyseni, almeno 57 foreign fighters sono morti in combattimento, una quarantina sono stati fermati prima che potessero partire, 102 sono stati arrestati sospetti di attività terroristica e altri 17, benché a piede libero, sono sotto indagine. E al seguito dei combattenti (almeno 300 quelli di etnia albanese, stimano le organizzazioni indipendenti) ci sarebbero anche 38 donne e 27 bambini.
Il tutto, in una regione di due milioni scarsi di abitanti, grande quanto l’Abruzzo, a poche centinaia di chilometri in linea d’aria dalla Puglia e soprattutto autoproclamatasi indipendente dopo un intervento militare che doveva servire a portare la sicurezza e la pacifica convivenza nel Paese. 

Invece, solo a scorrere le cronache degli ultimi mesi, c'è da riflettere.
La settimana scorsa a Pristina per terrorismo sono stati condannati in cinque, con pene comprese fra 4 e 13 anni di carcere: avevano giurato fedeltà all’Isis e stavano preparando un video da diffondere in rete per dimostrare la presenza dello Stato islamico anche nel Paese. E che i simpatizzanti non manchino lo dimostra anche la scritta, ritrovata lo scorso marzo sulla facciata della chiesa ortodossa di San Nicola, sempre nella capitale: “Isis is coming”, l’Isis sta arrivando, scritto in inglese perché fosse più chiaro. Forse non proprio una casualità, dal momento che quel giorno ricadeva il dodicesimo anniversario delle violenze che nel 2004 portarono all’incendio di numerosi luoghi di culto della minoranza serba. Senza contare che proprio in Kosovo erano le menti della cellula jihadistastroncata a dicembre dalla Procura di Brescia. Obiettivo:disintegrare l’Europa e imporre la sharia.

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