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domenica 26 giugno 2016

Alssandro Robecchi - Perdere le elezioni a reti (e testate) unificate....

Alessandro Robecchi, il sito ufficiale: testi, rubriche, giornali, radio, televisione, progetti editoriali e altro





Renzi non è solo, nella sconfitta elettorale. Con lui, un vasto schieramento di media con una capacità di fuoco enorme. E inutile
La sconfitta è solitudine. Lo sconfitto se ne sta solo in un angolino, consolato dai fedelissimi, mentre l’altro, quello che ha vinto, lo cercano tutti. Fa eccezione Matteo Renzi dopo la sconfitta alle elezioni amministrative, perché nell’angolino dove è finito non sta proprio da solo, ma in buona compagnia. Alle analisi psichiatrico-politiche del voto nelle grandi città manca infatti un tassello che rende la sconfitta di Renzi ancora più grave, ed è questo: insieme a lui ha perso un micidiale, granitico, quasi unanime fronte dei media ufficiali. I grandi quotidiani (Repubblica, Corriere della Sera, Stampa) e le tivù generaliste (tutta la Rai, in modo intermittente Mediaset, quasi sempre Sky) hanno fin’ora oggettivamente “fatto il tifo” per Renzi, le sue politiche, la sua lettura dell’Italia, la sua azione innovatrice (?), il suo dinamismo, eccetera, eccetera. I “retroscena” (valga per tutti la firma di Maria Teresa Meli, riconosciuta portavoce del Capo) sono ormai veline del governo, indirizzate ora ai nemici, ora agli amici che non si allineano, ora ai nemici che si vorrebbe corteggiare, ora a soci e complici da cui dissociarsi a parole ma agire nei fatti (Verdini e compagnia).
Insomma, un conto è perdere le elezioni, un altro conto è perderle avendo dalla propria una capacità di fuoco impressionante, l’artiglieria pesante, l’aeronautica, i parà, i guastatori del genio: è una sconfitta doppia.....


Ma intanto, mentre piccoli riposizionamenti si compiono, si mette tristemente a verbale una cosa piuttosto importante: i media non spostano più l’opinione pubblica come un tempo. Avere accanto il grande giornale, l’appoggio del Tg più ascoltato, l’opinione illustre in prima pagina, l’endorsement pompato, l’intervista-bomba (come fu quella di Napolitano al Corriere: “O vince il No o è il nulla”, minaccia nichilista) non assicurano automaticamente consenso.
Esiste dunque un canale di informazione (e propaganda, ovvio, e scemenza pressofusa, e trollismo militante, ma anche di circolazione di notizie e di idee) che vale più della “versione ufficiale”. E’ un fenomeno molte volte teorizzato (la rete, la rete, la rete, la democrazia dal basso, eccetera, eccetera), ma che forse per la prima volta si vede, qui e ora, perfettamente realizzato. Se un tam-tam su Facebook vale più di un fondo di Scalfari – non per buona lettura e forbito linguaggio ma per tasso di convinzione di chi legge – dove andremo a finire, signora mia?
Come al solito quando si parla di media e di sapere pubblico e diffuso, la distinzione è tra Apocalittici e Integrati, vecchie categorie che funzionano ancora (è una cosa che distingue le teorie sensate dalle mode culturali). Gli Apocalittici indicano il caso Trump, con i media schierati compattamente contro l’impresentabile candidato, mentre la rete – la famosa pancia del paese, un po’ buzzurra e concimata d’odio – lo fa volare nei sondaggi. Analogo per la Brexit, dove le voci istituzionali, elitarie, nobili dicono una cosa (restiamo) e la marmaglia (anche editoriale) dice il contrario (andiamocene). L’informazione dal basso – il passaparola, dicono gli editori, che fa vendere un libro più di cento recensioni positive – è vista come un inquinamento della narrazione ufficiale e autorizzata, un’irruzione della plebaglia armata di tablet, pc e telefonini nelle cantine dello zar, là dove girano le rotative.
Gli Integrati insistono sul valore democratico di quel flusso di commenti, pareri, polemichette, dichiarazioni, notizie false o presunte, ma anche vere e nascoste, e festeggiano la fine dei “poteri forti” dell’informazione. La verità starà da qualche parte nel mezzo, ma un fatto è evidente a tutti: la contro-narrazione sotterranea, una specie di samizdad, ha battuto quella ufficiale, ben confezionata, venduta in edicola, trasmessa in tivù. E questo per un motivo molto semplice: è più vicina alla realtà dello storytelling luminoso e progressivo della comunicazione renziana che molti media di rango hanno sposato.
E’ una faccenda con cui fare i conti: forse non lo farà Renzi, che ha già dichiarato il rilancio invece della marcia indietro, ma certo dovrebbero farlo gli editori che vedono scappare clienti, lettori e spettatori con la stessa velocità con cui Renzi perde elettori. Se sposi una narrazione, la fai tua, la diffondi, se continui a titolare “L’ira di Renzi…” quando le cose vanno male, o “Renzi ai suoi…” quando c’è da mandare un messaggio, a magnificare riforme discutibili, a diffondere cifre farlocche, o a cantare nel coro del “va tutto bene”, poi, all’apparir del vero, stai nell’angolino insieme allo sconfitto. Con un aggravante non da poco: che i comunicatori del cambiaverso (tutto nuovo, tutto luccicante!) si presentavano come, appunto, innovativi, come rottamatori del vecchi schemi, smart, smanettoni, whatsapp-dipendenti, twittaroli emetriti. E invece sono finiti aggrappati al Tg1 e ai grandi giornali come nella nei secoli dei secoli passati. Il dibattito – se sia solo un brutto inizio o già una brutta fine – è aperto.

http://www.alessandrorobecchi.it/index.php/201606/perdere-le-elezioni-a-reti-e-testate-unificate/

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