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lunedì 8 settembre 2014

I nuovi jihadisti vengono dal Kosovo Le esecuzioni postate su Facebook


PS:  Ecco da dove arrivano e il perchè, i "tagliatori di teste",arrivano dal Kosovo: La NATO e la UE, e in principal modo l'Italia, ha   dato il suo appoggio, prima alla guerra alla Juguslavia e poi all'"illegale" Referendum.

                                https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=8&cad=rja&uact=8&ved=0CGcQFjAH&url=http%3A%2F%2Fwww.ips.it%2Fscuola%2Fconcorso_99%2Fdiritti_1%2Fweb%2Fpace.htm&ei=cecNVIHNGOb5yQOku4GoDA&usg=AFQjCNEdcLiKiKGR_O4ua_BsaT6pgRsgzw&sig2=-DRGCjOHnOvo7pFY5B3l_Q

umberto marabese
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Centinaia di combattenti partiti per Iraq e Siria. Decine di fondamentalisti arrestati. Sedici vittime accertate. Un kamikaze saltato in aria a Bagdad. E un leader dell’Isis che pubblica sui social le decapitazioni. A sei anni dall’indipendenza, l’ex provincia serba si sta rivelando una fucina di terroristi. L’ultimo lo hanno fermato la settimana scorsa all’aeroporto di Tirana. Mentor Zejnullahu, 24 anni, residente a Viti, stava per imbarcarsi alla volta di Istanbul, per poi raggiungere la Siria e unirsi ai jihadisti. A inchiodare il reclutatore, gli sms scambiati coi ribelli di al-Nusra, il gruppo affiliato ad al-Qaeda. Sempre da Viti proveniva anche il sedicenne fermato il 5 agosto nello scalo di Pristina, anche lui con la stessa destinazione. E appena tre settimane fa una operazione della polizia del Kosovo ha portato in carcere 40 sospetti jihadisti (altri 17 sono risultati irreperibili), che vanno ad aggiungersi ai tre finiti in manette a giugno e agli 11 arrestati lo scorso novembre: i più giovani sono nati nel 1994 e molti hanno meno di 30 anni....

I massacri e le bombe della Nato sembrano ormai solo un vago ricordo. Nella più giovane repubblica d’Europa, proclamatasi unilateralmente indipendente nel 2008 (e subito riconosciuta da Usa e quasi tutti i Paesi Ue), la nuova frontiera è il radicalismo islamico. E il nuovo nemico non sono più i paramilitari serbi come ai tempi dell’Uck ma gli infedeli. Così in una regione in cui l’Islam, abituato a convivere con le altre religioni, ha sempre mostrato il suo lato più tollerante, ad appena vent’anni dalla guerra che portò alla dissoluzione del mosaico etnico costruito da Tito il fondamentalismo mostra di aver piantato nel profondo le sue radici. Tanto da poter contare, rivelano fonti investigative all’Espresso, su almeno 20 cellule terroristiche attive nel reclutamento e addestramento fra Serbia, Albania, Macedonia, Kosovo, Montenegro e Bosnia, come mostra la retata che ha portato all’arresto di 16 reclutatori, compreso Bilal Bosnic, l’ex predicatore del centro islamico di Cremona considerato uno dei reclutatori di spicco dell'Isis. Finanziate da ong islamiche - dall’Arabia saudita all’Inghilterra fino all’insospettabile Turchia - queste cellule in qualche caso vedono proprio gli ex guerriglieri (in Kosovo quelli dell’Uck) quali inevitabili punti di riferimento locale. Un avamposto in attesa, chissà, di rivolgere verso l’Europa quella guerra finora combattuta sul suolo mediorientale.

IL JIHADISTA È SU FACEBOOK
Le autorità di Pristina cercano di minimizzare: secondo il governo i volontari partiti sarebbero solo 43. Difficile crederlo statisticamente, considerato che le vittime accertate sono già 16. Non a caso diverse fonti ritengono che, fra gli 11 mila stranieri in Siria (dei quali duemila europei), sarebbero 300-400 i combattenti di etnia albanese, prevalentemente kosovari. Grosso modo quanto quelli provenienti dal Regno Unito. Con la significativa differenza che l’ex provincia serba è grande quanto l’Abruzzo e non arriva a due milioni di abitanti.

Una rilevanza dimostrata anche dallo Stato islamico dell’Isis: il discorso con cui il comandante al Bagdadi si è autoproclamato califfo è stato tradotto in inglese, francese, tedesco, turco, russo e albanese. Del resto i jihadisti kosovari stanno dando il loro contributo: a marzo Blerim Heta, nato e cresciuto in Germania ma tornato in patria dopo la guerra, si è fatto esplodere a Baghdad uccidendo 52 ufficiali di polizia.

Mentre sul web impazza la figura di Lavdrim Muhaxheri, indicato come comandante della “brigata balcanica”: dopo aver rivolto ai connazionali un appello alla jihad , in un video dell’Isis che gira in rete ha arringato la folla in arabo fluente brandendo un grosso coltello e bruciato il suo passaporto kosovaro, “documento degli infedeli”: «Io sono solo un musulmano». Infine ha postato su Facebook una foto che la ritrae mentre decapita un ragazzino siriano accusato di essere una spia, mentre in un’altra lo si vede riprendere col cellulare una esecuzione compiuta da un connazionale.


Ed è proprio questa la novità: ormai non solo la guerra santa si svolge anche in rete con video e appelli ma i mujaheddin 2.0, riluttanti all’anonimato, postano senza alcun riserbo le loro azioni sui social network. A suo modo una fortuna, visto che questo consente all’intelligence di risalire alla rete dei loro contatti. In ogni caso, quando torneranno in patria, nessuno potrà contestare loro alcunché. Il Kosovo non ha ancora una legge che punisce il reclutamento di terroristi o chi va a combattere all’estero: il disegno di legge, che prevedeva pene da 5 a 15 anni, non è stato ratificato in tempo prima delle elezioni anticipate di giugno.

POLVERIERA BALCANI
A paradosso si aggiunge paradosso: sia Muhaxheri che Heta avrebbero lavorato nel campo Bondsteel, la principale base americana sotto il comando della Kfor, la missione Nato in Kosovo, che ospita migliaia di soldati. E proprio la città di Ferizaj in cui sorge, vicino al confine con la Macedonia, è diventata un centro nevralgico di reclutamento: oltre al kamikaze, 11 dei 40 terroristi arrestati ad agosto venivano da lì. Forse non a caso: sempre lì (all’hotel Lion, secondo un rapporto dei servizi di Belgrado del 2003) per anni la ong Islamic relief avrebbe reclutato bambini resi orfani dalla guerra per compiere attentati suicidi.
Quello dei volontari «è un problema comune a tutti i paesi democratici sviluppati» ha minimizzato nei giorni scorsi il generale Salvatore Farina, comandante uscente della Kfor, nella sua ultima conferenza stampa. Di certo la concentrazione di terroristi in Kosovo fa paura. E allerta anche gli 007, visto che un informatore della Kia, i servizi segreti di Pristina, sarebbe stato riconosciuto e ucciso in Siria a inizio anno. Il tutto mentre nella piccola repubblica operano ancoracinquemila militari dell’Alleanza atlantica che dovrebberosostenere lo sviluppo di un Kosovo stabile, democratico, multietnico e pacifico .

Insomma, i Balcani continuano a produrre più storia di quanto ne possono digerire, secondo il caustico aforisma di Churchill. In Albania, dove sono 60 i jihadisti identificati, sono stati arrestati un paio imam di Tirana per incitamento al terrorismo più altri sei miliziani, tornati dalla Siria a farsi medicare le ferite. Dalle province a maggioranza musulmana della Serbia meridionale si stima che siano partiti varie decine di combattenti. La situazione più pericolosa riguarda tuttavia la Bosnia, dove i servizi si sicurezza stimano che siano tremila i radicali islamici pronti a entrare in azione. Intanto anche Sarajevo ha avuto il suo kamikaze in Iraq: Emrah Fojnica, 23 anni, già coinvolto nell’attacco all’ambasciata statunitense del 2011.

LA PENETRAZIONE SILENZIOSA A
desso, quando forse è troppo tardi, la polizia sta passando al setaccio le centinaia di ong islamiche sparse per i Balcani fin dalla guerra nella ex Yugoslavia.

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Organizzazioni per lo più saudite che hanno affiancato il lato umanitario con la costruzione di una miriade di moschee nuove di zecca in cui predicare l’Islam più radicale di ispirazione wahabita, da cui chiamare al martirio. Tanto che nei giorni scorsi perfino il sobrio Financial times ha ironizzato sulla strisciante colonizzazione portata avanti in questo modo da Riad. Una penetrazione silenziosa raccontata profeticamente già cinque anni fa in “Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa” da Antonio Evangelista, ex capo del contingente di polizia italiana nell'ambito della missione Onu, in cui si occupava di criminalità organizzata e terrorismo.  Soprattutto, consentita da un mix fatale: istituzioni deboli, instabilità politica, corruzione endemica, disoccupazione vertiginosa. Oltre alla sostanziale vacuità della presenza militare e alle promesse tradite dell’Occidente, che ha lasciato gran parte della popolazione del Kosovo (e della Bosnia) in uno stato di povertà non dissimile dal precedente. Spingendo intere fasce nelle braccia del radicalismo islamico.

IN GUERRA CON PAPÀ
Così, se la famiglia è la cosa più importante, molti jihadisti partono per il fronte con mogli e figli al seguito. O, se le consorti non sono d’accordo, solo con la prole. Come ha fatto il bosniaco Ismar Mesinovic, che dal bellunese è andato a combattere in Siria portando con sé il figlioletto di tre anni , scomparso nel nulla dopo la sua morte. E come ha fatto anche il kosovaro Arben Zena, partito col piccolo Erion, di otto anni. «Andiamo un paio di giorni a Rugova» ha detto alla moglie Pranvera all’inizio di luglio. Poi più nulla, tranne un sms la settimana seguente: «Sono in Siria con il ragazzo». Adesso la donna ha aperto una pagina Facebook per raccontare la sua storia e raccogliere segnalazioni.
Anche perché i casi simili non sarebbero affatto pochi: una foto mostra il bambino in mezzo a un nugolo di coetanei. Uno dei quali, inconsapevole, sventola l’inquietante bandiera nera dello Stato islamico.

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