«Da qui in avanti è Russia». La nuova Repubblica putiniana di Crimea ha già il suo striscione al km 46 della strada per Sebastopoli. Una colonna di camion militari sale sulle alture di Vierhneye Sadovoye, i contadini che dalle case di pietra la salutano, e l'ultima targa della colonna è «148Ohm-Rus»: benvenuti in Russia. Un fornelletto fuma. Un cartello ammonisce, casomai si volesse arrestare l'inarrestabile avanzata, che «Mosca è sempre stata il cimitero delle idee malvagie». Si mangia carne, sul ciglio d'erba calpestata. I volontari della Milizia popolare si sono messi la pettorina fosforescente, fanno sterzare le auto: l'inevitabile Berlusconi amico di Putin è un buon argomento per scherzare. I soldati veri, no: ogni giorno più cattivi, loro s'appostano nei frutteti, puntano l'arma alta. Allontanano tutti. Il piccolo assedio di Sebastopoli è in corso, c'è un Quarto Bastione che non molla: dentro un centinaio d'arditi della Guardia costiera ucraina, tutt'intorno trecento parà russi. Mani in alto, siete un po' circondati. No, non può passare lo straniero. Si tengono nel mirino da venerdì sera, chi l'abbassa è perduto. «Abbiamo l'ordine d'occupare questa unità», intima il tenente della Flotta del Mar Nero, sul display del palmare la missione firmata dal ministro della Difesa russa in persona, Serghei Shoygu. «Toglietevi di lì, diteci qualcosa: non vogliamo inutili spargimenti di sangue». Gli mostrano l'immobilità. Gli rispondono col silenzio. L'unico sparo della silenziosa invasione di Crimea, il terzo giorno, è davanti al palazzo del governo autonomo di Sinferopoli. Al cielo e per sbaglio.........
Su questa terra di confine e contesa, nella città che è il vero bottino di guerra, solo certezze: Sebastopoli, non c'è mai stato bisogno d'occuparla. I russi ci tengono da sempre metà della loro flotta, quel che rimane della loro retorica militare, un bel pezzo della loro sicurezza: Potemkin e la sua corazzata, i missili e i radar sul Medio Oriente. Benedetta Marina russa: ci campa d'affari, bar e forniture, il 90 per cento di chi vive qui. Il lungomare che piaceva tanto a Krusciov è diventato un tricolore interscambiabile, un drappo e un nastro e una coccarda ogni dieci metri: bianco, rosso e blu, invertendo l'ordine dei colori il prodotto non cambia, la bandiera della Crimea diventa russa e viceversa. «La perla del Mar Nero è tornata a luccicare!», va d'oratoria il nuovo sindaco Aleksei Cialy, professione imprenditore: ha un sacco di soldi, ma non ha avuto bisogno di fare nemmeno la campagna elettorale perché, sulla passeggiata Gagarin, cinque giorni fa l'hanno eletto con un applauso e un mandato chiaro, «spedire via a calci nel sedere i fascisti di Kiev e i nuovi governanti dell'Ucraina!». Dice che s'è messo a piangere, di gioia ovvio, quando i russi sono usciti dalla loro base e sono andati a occupare i palazzi di Sinferopoli: «Sotto Putin, faremo di Sebastopoli un porto più sicuro. E più ricco». La tenaglia si stringe. Sulla Crimea e sull'Est. Seimila soldati, dice Kiev: «Una presenza volutamente inadeguata per far reagire gli ucraini», come fece la Georgia nel 2008, che cadde nella trappola degli indipendentisti osseti. Da Donetsk a Kharkiv, i filorussi guadagnano le piazze, malmenano i filoccidentali. Naturalmente, a sentire Mosca, chi destabilizza non sono i suoi parà, ma «i ben noti circoli politici di Kiev»: «In Crimea, le unità di autodifesa filorusse stanno solo sventando con risoluta azione le pericolose provocazioni».Per questo ci sarebbero «duemila ucraini già scappati in Russia e altri 140 mila pronti a farlo». Per questo, ecco altre colonne di mezzi militari segnalati sul fronte orientale. Si entra facile. Anche perché le minacce del governo ucraino nato da Maidan, sai che fifa, sono i charter estivi che non arriveranno più quaggiù: «L'invasione russa - tuona il neopremier Yatseniuk, sfiorando il ridicolo - è un boomerang. Se la presenza dei soldati continua, la stagione turistica del Mar Nero fallirà. I moscoviti perderanno un luogo per loro unico». Se sta sorgendo un nuovo Muro fra Est e Ovest, i mattoni ce li mette Sebastopoli. La flotta è dappertutto, due navi da guerra al largo e chi sta a cavillare: «State violando gli accordi!.», «falso, gli accordi dicono che possiamo mobilitarci se c'è pericolo.», «sì, ma dovete avvertirci 72 ore prima.». Dum Kiev cogitat, Putin si pappa l'aeroporto dei cargo (il terzo) a Kirovskoye. E occupa le sedi delle tv locali, Atr e Krim. E ricaccia nelle sue basi la Marina ucraina che divide in condominio, caso unico al mondo, la Baia del Mar Nero. I russi s'infilano anche in una base missilistica, venti soldati che si fanno sorprendere e negoziano, prima di consegnarsi. Il Cremlino ha una democrazia da esportare con le armi e i tempi sono stretti. «Tenuto conto della situazione e capendo che il conflitto sta ormai superando i limiti del buon senso - dice il nuovo primo ministro della Crimea, Aksionov, gradito a Mosca e liberamente eletto da un Parlamento occupato dai marò - abbiamo deciso d'accelerare la data del referendum»: meglio votare il 30 marzo, evitando così quella fastidiosa coincidenza con le elezioni politiche ucraine del 25 maggio. La domanda sarà secca: «Siete voi per la sovranità etnica della Crimea in seno all'Ucraina?». Tutto si giocherà in quella «sovranità etnica». Di fatto, significa secessione: indovinate chi vince.
Su questa terra di confine e contesa, nella città che è il vero bottino di guerra, solo certezze: Sebastopoli, non c'è mai stato bisogno d'occuparla. I russi ci tengono da sempre metà della loro flotta, quel che rimane della loro retorica militare, un bel pezzo della loro sicurezza: Potemkin e la sua corazzata, i missili e i radar sul Medio Oriente. Benedetta Marina russa: ci campa d'affari, bar e forniture, il 90 per cento di chi vive qui. Il lungomare che piaceva tanto a Krusciov è diventato un tricolore interscambiabile, un drappo e un nastro e una coccarda ogni dieci metri: bianco, rosso e blu, invertendo l'ordine dei colori il prodotto non cambia, la bandiera della Crimea diventa russa e viceversa. «La perla del Mar Nero è tornata a luccicare!», va d'oratoria il nuovo sindaco Aleksei Cialy, professione imprenditore: ha un sacco di soldi, ma non ha avuto bisogno di fare nemmeno la campagna elettorale perché, sulla passeggiata Gagarin, cinque giorni fa l'hanno eletto con un applauso e un mandato chiaro, «spedire via a calci nel sedere i fascisti di Kiev e i nuovi governanti dell'Ucraina!». Dice che s'è messo a piangere, di gioia ovvio, quando i russi sono usciti dalla loro base e sono andati a occupare i palazzi di Sinferopoli: «Sotto Putin, faremo di Sebastopoli un porto più sicuro. E più ricco». La tenaglia si stringe. Sulla Crimea e sull'Est. Seimila soldati, dice Kiev: «Una presenza volutamente inadeguata per far reagire gli ucraini», come fece la Georgia nel 2008, che cadde nella trappola degli indipendentisti osseti. Da Donetsk a Kharkiv, i filorussi guadagnano le piazze, malmenano i filoccidentali. Naturalmente, a sentire Mosca, chi destabilizza non sono i suoi parà, ma «i ben noti circoli politici di Kiev»: «In Crimea, le unità di autodifesa filorusse stanno solo sventando con risoluta azione le pericolose provocazioni».Per questo ci sarebbero «duemila ucraini già scappati in Russia e altri 140 mila pronti a farlo». Per questo, ecco altre colonne di mezzi militari segnalati sul fronte orientale. Si entra facile. Anche perché le minacce del governo ucraino nato da Maidan, sai che fifa, sono i charter estivi che non arriveranno più quaggiù: «L'invasione russa - tuona il neopremier Yatseniuk, sfiorando il ridicolo - è un boomerang. Se la presenza dei soldati continua, la stagione turistica del Mar Nero fallirà. I moscoviti perderanno un luogo per loro unico». Se sta sorgendo un nuovo Muro fra Est e Ovest, i mattoni ce li mette Sebastopoli. La flotta è dappertutto, due navi da guerra al largo e chi sta a cavillare: «State violando gli accordi!.», «falso, gli accordi dicono che possiamo mobilitarci se c'è pericolo.», «sì, ma dovete avvertirci 72 ore prima.». Dum Kiev cogitat, Putin si pappa l'aeroporto dei cargo (il terzo) a Kirovskoye. E occupa le sedi delle tv locali, Atr e Krim. E ricaccia nelle sue basi la Marina ucraina che divide in condominio, caso unico al mondo, la Baia del Mar Nero. I russi s'infilano anche in una base missilistica, venti soldati che si fanno sorprendere e negoziano, prima di consegnarsi. Il Cremlino ha una democrazia da esportare con le armi e i tempi sono stretti. «Tenuto conto della situazione e capendo che il conflitto sta ormai superando i limiti del buon senso - dice il nuovo primo ministro della Crimea, Aksionov, gradito a Mosca e liberamente eletto da un Parlamento occupato dai marò - abbiamo deciso d'accelerare la data del referendum»: meglio votare il 30 marzo, evitando così quella fastidiosa coincidenza con le elezioni politiche ucraine del 25 maggio. La domanda sarà secca: «Siete voi per la sovranità etnica della Crimea in seno all'Ucraina?». Tutto si giocherà in quella «sovranità etnica». Di fatto, significa secessione: indovinate chi vince.
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