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domenica 5 gennaio 2014

Antonio Padellaro. Politici e buoni propositi: parole, parole, parole

PS: <<Vedrai, cara Milena Gabanelli, che tra qualche giorno anche le unioni di fatto ritorneranno mestamente nel cassetto sostituite da qualche altra trovata truffaldina. Parole, parole, parole. Non è la canzone di Mina ma Shakespeare, Amleto, atto II. Una tragedia....>>
umberto marabese
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C’è un articolo che meriterebbe di essere incorniciato e posto sulla scrivania di Enrico Letta a Palazzo Chigi e poi riprodotto e distribuito a ministri, viceministri, sottosegretari, vassalli, valvassori e valvassini a imperitura memoria. Lo ha scritto Milena Gabanelli sul Corriere della Sera del 31 dicembre 2013 e ha come titolo: “Tutto quello che non ha fatto la politica del ‘noi faremo’”.
L’incipit è sublime: “A fine anno, nella vita come in tv si replica. Il capo dello Stato fa il suo discorso, quello del governo ricicla le dichiarazioni di sei mesi in occasione del decreto del fare, con l’enfasi di un brindisi: ‘Faremo’. Vorremmo un governo che a fine anno dica ‘abbiamo fatto’ senza dover essere smentito”. Seguono quattro capitoletti (ben argomentati come nello stile della conduttrice di Report) sul peso delle tasse, sulla giustizia lenta, sulle difficoltà di imprese e lavoratori, sui tagli della Rai. Quattro marmorei monumenti all’inettitudine che si ammanta di virtù.....

Su un punto però, cara Milena, mi trovo in disaccordo, là dove scrivi: “Come contribuente e come cittadina non m’interessa un governo di giovani quarantenni. Pretendo di essere governata da persone competenti e responsabili, che blaterino meno e ci tirino fuori dai guai”. Stai scherzando? Vuoi la loro rovina? Nel blaterare o se vogliamo nella produzione incessante di promesse su mirabolanti piani, programmi, progetti, meritori propositi e solenni impegni (per non dire dei moniti e delle severe esortazioni) che naturalmente resteranno lettera morta, costoro trovano l’essenza stessa del loro essere, la ragione prima delle loro carriere e forse anche della loro esistenza in vita. Perciò l’impulso vitale che li distingue consiste nella ricerca spasmodica di un taccuino o meglio ancora di una telecamera a cui distillare cotanto nettare. Eh sì, agili e smemorati balzano da una balla all’altra come cercopitechi nella giungla. Esistono, è vero, rari esemplari seri e responsabili ma nulla contano e infatti non li vedremo mai in tv.
L’ultima trovata di questo circo degli illusionisti sono le unioni civili riesumate da Matteo Renzi dal secolo scorso e che immancabilmente suscitano sdegnate proteste, in nome dei valori della famiglia, di quei politici che non a caso di famiglie spesso ne hanno due o tre. Viviamo in un Paese che non riconosce le coppie di fatto, che mette al bando i matrimoni gay, che limita la fecondazione assistita, che permette l’adozione solo ai coniugi dal sacro vincolo del matrimonio, che considera i single persone di serie b, che osteggia il testamento biologico e che tratta gli immigrati come bestie. Sul piano dei diritti civili siamo al livello della Spagna franchista o giù di lì. Siamo la vergogna dell’Europa civile.
Vedrai, cara Milena, che tra qualche giorno anche le unioni di fatto ritorneranno mestamente nel cassetto sostituite da qualche altra trovata truffaldina. Parole, parole, parole. Non è la canzone di Mina ma Shakespeare, Amleto, atto II. Una tragedia.
Il Fatto Quotidiano, 5 gennaio 2014

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