La Costituzione italiana del 1948 fu il
prodotto di un processo costituente reso necessario dal tradimento
delle classi dirigenti che avevano abbandonato la guida del paese e
svenduto la sua sovranità a interessi e paesi stranieri.
Fu anche il tentativo di rimettere in
piedi un progetto condiviso tra forze politiche, sociali, culturali e
religiose diverse ma concordanti su alcuni punti centrali di pace, di
giustizia sociale, di valorizzazione delle risorse nazionali e di
rilancio di un contributo autonomo dell'Italia alla realizzazione
di questi obiettivi in e con la solidarietà di altri paesi.
Il progetto europeo fu il prodotto di
queste scelte e di questo clima politico, e non certo d'illuminati
europei delle cancellerie degli Stati o di intellettuali impegnati
nella elaborazione delle teorie sulla pace universale.
L'Europa di Ernesto Rossi e di
Altiero Spinelli nacque dal bisogno di contrapporre all'idea
nazista della Grande Europa l'idea internazionalista di un'Europa
di pace e solidarietà.
La rottura del patto costituzionale,
già incrinato dalle imposizioni della Guerra Fredda, si realizza
dagli anni Novanta con la scelta di parti importanti delle élite
politiche di svendere la sovranità politica del paese e le ricchezze
nazionali per inserirsi nel gioco dei nuovi centri internazionali
del potere militare, economico e finanziario........
I passaggi principali di questo
trasfigurazione del patto costituzionale sono noti e documentati.
L'ex ministro delle finanze Giuseppe Guarino ne ha dato un
resoconto puntuale nel suo scritto "Un
saggio di verità sull'Europa e sull'euro" nel quale data
al 1999 il "colpo di Stato" attuato dai poteri europei
contro gli Stati nazionali espropriandoli della loro sovranità
economica.
L'euro è parte integrante di
questa operazione resa possibile dal trasformismo (Mauro Fotia,
Il consociativismo infinito, 2011) di parte delle élite
nazionali dei paesi europei, e dell'adesione corporativa a
questo piano da parte di sindacati, sinistra europea, organi separati
del potere (istituzioni, magistratura, ecc.) interessati a negoziare
la propria adesione alla nuova struttura del potere con la
conservazione dei propri privilegi (Giulio Sapelli, Chi
comanda in Italia, 2013).
Sono gli anni in cui si organizza
scientificamente la conquista del potere da parte della borghesia
globale, mettendo fuori gioco le istituzioni democratiche
esistenti mediante la loro delegittimazione sistematica, fino
allo stravolgimento del sistema politico italiano attuato su
direttiva della Troika e dei nuovi poteri finanziari nel 2011
(Governo Monti e seguenti).
Questo piano si realizza con la
copertura del polverone mediatico che utilizza le sue armi
di confusione di massa per dividere le opposizioni e le
voci critiche su falsi obiettivi:
pro o contro l'Europa, pro o contro l'euro, pro o contro la
Costituzione, pro o contro la democrazia, pro o contro la corruzione.
Su queste false divisioni si realizza
l'unità delle nuove élite europee che assorbono le élite
politiche nazionali dentro il nuovo meccanismo del potere trasversale
ai partiti e ai poteri economici.
Mentre l'attenzione si concentra sui
"faccendieri", sui "furbetti" sul "bunga bunga", le p4 o
p5 la Troika consolida il proprio potere sparando nel mucchio e
rimuovendo con l'appoggio di pezzi delle istituzioni da incarichi
istituzionali le persone "inaffidabili" al nuovo sistema di
potere (da Baffi a Fazio).
Si consolida così un sistema di potere
autoritario in grado di controllare le politiche e le economie di
tutti i paesi europei dei quali prende sempre più in presa diretta
la gestione del potere. Un sistema di potere "criminale" del
"capitalismo predatorio", secondo la definizione
utilizzata da James K. Galbraith per descriverne l'equivalente
negli Stati Uniti.
La resistenza a tutto questo c'è
stata dagli anni Ottanta anche nel campo della cultura e della
società civile. Tre voci a noi ben note, definite "gli innominati"
della politica e dell'economia, sono state quelle di Federico
Caffè, di Augusto Graziani, e di Paolo Sylos Labini.
Tre voci rapidamente isolate e marginalizzate da una sinistra e forze
della società civile impegnate a ritagliarsi spazi "critici" e
di proprio inserimento e sopravvivenza dentro le nuove strutture del
potere.
Tre voci che non hanno mai confuso il
diritto con l'economia, le teorie con il progetto politico, ma che
hanno tentato e potentemente contribuito a servirsi di questi
strumenti per tenere la dritta di un processo di costruzione
democratica e sociale.
La loro biografia documenta la loro
attiva partecipazione e intreccio con il processo costituzionale. Il
loro impegno di studio ha contribuito in modo veramente innovativo,
con una innovazione a servizio dei cittadini e non del principe o dei
baroni di turno, ad aprire nuove vie alla riflessione e alla
elaborazione politica.
Basta ricordare qui il contributo di
Federico Caffè a creare le basi
teoriche per una economia sociale e uno spirito civico di solidarietà
sul quale far convergere pezzi diversi e importanti della cultura
economica e civile italiana, al di fuori delle schematizzazione delle
scuole accademiche. Uno sforzo ostacolato da chi allora propugnava
approcci più o meno marxisti e che ritroviamo oggi nelle file del
pensiero liberista e nei posti del potere economico e finanziario.
Interrompendo due decenni di
contrapposizioni teoriche sull'analisi di classe della società
italiana, con le quali i partiti e il sindacato hanno reso
impossibile ogni strategia politica di alleanze sociali che non fosse
quella del loro schema preferito della "compartecipazione" al
potere dominante, Paolo Sylos Labini
produsse una riflessione sulle classi sociali in Italia a metà
degli anni Settanta nel tentativo di riaprire uno spazio di
iniziativa politica non corporativa e non trasformistica alla
creazione di un sistema politico di alleanze popolari in
Italia. Impegno contrastato da gran parte della cultura istituzionale
e di sinistra in Italia.
Infine è utile richiamare anche il
contributo di Augusto Graziani,
un economista di chiara impostazione marxista, che mai ha piegato
l'analisi della questione meridionale alle mode sociologiche di
sinistra degli anni Ottanta-Novanta orientate ad addomesticare il
problema sociale e di classe del Mezzogiorno ai nuovi bisogni del
potere che si è cercato di legittimare con la tesi della scomparsa
della questione meridionale, dei distretti chiavi in mano
importati dal nord, ecc.; tesi sostenute da chi è passato dalle
posizioni di sinistra di riviste come i Quaderni Piacentini,
Stato e Mercato a quelle di Meridiana e, poi, a
posizioni accademiche e politiche di potere.
Noi vogliamo ripartire da qui. dalla
consapevolezza che il tradimento che ancora una volta si è
consumato in questi anni, e che vede oggi coinvolte forze politiche,
economiche e "sindacali", richiede la nascita di una nuova
resistenza, l'unione di tutte le forze popolari che vi si
oppongono. Sarà la partecipazione a questa nuova resistenza a
segnare i confini dell'appartenenza dei movimenti e dei partiti al
nuovo arco costituzionale, all'elaborazione di un patto
costituzionale così come fu dopo il 1945.
Non esistono scorciatoie giuridiche
o economiche per riappropriarsi della sovranità nazionale e del
progetto europeo. Quanto è accaduto non è il frutto di
ingordigia, di ignoranza, ma di una rapina annunciata e
scientificamente attuata del potere. Non siamo in presenza di errori
o di fallimenti, ma del pieno successo delle strategie messe in
campo. La crisi ha segnato in modo chiaro i confini geografici e
sociali delle forze in campo; partendo da questi deve ripartire la
formazione di un blocco sociale e politico europeo e nazionale.
Le proposte su come affrontare la
situazione esistono. Non si tratta di aggiungere buone idee a quelle
esistenti, di continuare nella gara sulle "buone pratiche" o
della scoperta risolutiva dell'uovo di Colombo, ma di uscire
dall'illusione del tecnicismo e del tatticismo. È necessario
un grande sforzo di verità che sappia fondere insieme, così come fu
con la Resistenza e la Costituente, proposte e movimenti popolari,
scegliendo le idee sulla loro capacità di camminare sulle gambe
delle persone coinvolte.
Così come avvenne nel 1945 è
necessario riproporre un progetto europeo di pace e di solidarietà
che contrasti e travolga quello della Grande Germania, oggi espresso
dalle istituzioni dell'Unione Europea.
Contributo al seminario di Roma:
Oltre il neoliberismo. Teorie e pratiche per ripensare la
democrazia.
.(11 dicembre 2013)
Bruno Amoroso - Economist.
Professor emeritus of Rotskilde University (Denmark). Co-editor of
Insight
Tratto da:
http://www.insightweb.it/web/node/1344
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