Provate a seguire da vicino l’iter di un provvedimento legislativo.
Scoprirete che i partiti che compongono la maggioranza non sono tre
come si dice, ma almeno sette. Nel Pd agiscono separatamente il gruppo
dei «Renzi for president» e l’avversa coalizione del «Tutto tranne
Renzi»; più un manipolo di deputati che rispondono direttamente alla
Cgil. Nel Pdl i «fittiani» contendono palmo a palmo il terreno agli
«alfaniani», e il consenso del Pdl va contrattato con entrambi (più
Brunetta). Scelta civica si è sciolta in due fazioni, per niente
moderate nella foga con cui si combattono. Per condurre in porto il
vostro provvedimento preferito dovrete dunque fare sette stazioni della
via crucis parlamentare, per quattro volte (se il governo non mette la
fiducia, due letture alla Camera e due al Senato). Vi servono insomma
ventotto sì. Un’intesa larghissima: si fa prima al Consiglio di
sicurezza dell’Onu. Una volta approvata, la nuova norma rimanderà di
sicuro a un regolamento attuativo. E lì ricomincerà la vostra gimkana,
stavolta tra i burocrati dei ministeri che hanno il potere di scriverlo......
Il nostro sistema politico-parlamentare è letteralmente
esploso. E la cosa incredibile è che il massimo della frammentazione
convive con il massimo del leaderismo nei partiti. Il Pd, che pure è il
più democratico, è una monarchia elettiva (quattro capi in cinque anni,
l’unico partito al mondo che incorona il segretario con una
consultazione del corpo elettorale). Il Pdl è una monarchia ereditaria.
La terza forza, il M5S, è una diarchia orientale, con un profeta e un
califfo.
In queste condizioni il semplice fatto che esista un
governo è già un miracolo, figurarsi l’operatività. Se andiamo a votare
può anche peggiorare. E non è solo colpa del Porcellum . Con i partiti
come sono oggi, e con i sondaggi che circolano oggi, nessun sistema
elettorale, nemmeno il più maggioritario, può garantire una maggioranza
solida. Se anche questa si producesse nelle urne, si spaccherebbe in
Parlamento un attimo dopo, come è miseramente accaduto alla più
formidabile maggioranza della storia, quella uscita dal voto del 2008 e
guidata da Berlusconi. Da tre anni il governo della Repubblica non è più
espressione del risultato elettorale. Nessuna delle coalizioni che
abbiamo trovato sulla scheda appena otto mesi fa esiste più.
Qualsiasi terapia del male italiano deve passare da qui:
come rendere il Paese governabile. Come aprirsi un sentiero praticabile
tra due Camere, venti Regioni, più di cento Province, più di ottomila
Comuni. Come ridurre il numero dei partiti, ridurne il potere, ridurne
l’ingerenza. È infatti nel sistema politico-istituzionale che si è
incistata nella sua forma più perniciosa quella crisi di cultura e di
valori di cui hanno scritto sul Corriere Galli della Loggia e Ostellino.
La soluzione viene di solito indicata nelle riforme
costituzionali. Solo chi spera nel tanto peggio tanto meglio può negarne
l’urgenza. Ma neanche quelle basteranno se non si produce una profonda
rigenerazione morale dei partiti. Laddove l’aggettivo «morale» non sta
solo nel «non rubare», e il sostantivo «rigenerazione» non coincide con
l’ennesimo «repulisti» affidato al codice penale: questo sistema
politico è figlio di Mani pulite, e non sembra venuto tanto meglio.
Rigenerazione morale vuol dire innanzitutto una nuova generazione,
homines novi . Vuol dire restaurare un nesso, anche labile, tra
l’attività politica e il bene comune. Vuol dire liberarsi dei demagoghi e
dei voltagabbana. L’Italia non può farcela senza una politica migliore.
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