Cosa sapeva D'Ambrosio degli "indicibili accordi"?
di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza.
Non fu, con tutta probabilità, un semplice testimone. Nel '93, quando
lavorava con Liliana Ferraro al-l'Ufficio studi degli Affari penali di
via Arenula, Loris D'Ambrosio potrebbe aver avuto un ruolo, anche se
inconsapevole, nelle manovre che portarono alla nomina di Francesco Di
Maggio ai vertici del Dap, l'ufficio chiamato a gestire il 41bis,
nell'ambito del dialogo tra Stato e mafia.
È QUESTO il significato attribuito dalla Procura di Palermo alla lettera
che lo stesso D'Ambrosio, divenuto consigliere giuridico del Quirinale,
scrive il 18 luglio 2012 al capo dello Stato esternandogli il "vivo
timore" di esser stato considerato un "utile scriba" e usato come scudo a
"indicibili accordi", proprio in riferimento al periodo tra l'89 e il
'93. Ed ecco perché i pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto
Tartaglia intendono chiedere a Napolitano, da ieri ammesso come
testimone del processo di Palermo, se e cosa venne a sapere delle
preoccupazioni del suo consigliere giuridico, ma soprattutto di quegli
"indicibili accordi" cui D'Ambrosio fa riferimento, nella stagione tra
l'attentato all'Addaura e le stragi. Chi avrebbe usato come "scudo"
D'Ambrosio? E perché? Lo spin doctor del Quirinale, scomparso il 26
luglio 2012 per un attacco cardiaco, è tra i comprimari dell'indagine
sulla trattativa, per essere stato l'interlocutore privilegiato dell'ex
senatore Nicola Mancino che tra la fine del 2011 e la primavera del 2012
tempesta il Colle di telefonate in cerca di protezione.
...
IN QUEL periodo, mentre l'inchiesta entra nel vivo, per due volte, nel
giro di 57 giorni, D'Ambrosio viene interrogato dai pm di Palermo come
"persona informata sui fatti": la prima il 20 marzo, a Roma; la seconda
il 16 maggio, nel capoluogo siciliano. La prima volta, il consigliere
giuridico nega di essere in possesso di informazioni utili agli
inquirenti: "Non ho alcuna notizia specifica - dice - sull'iter seguito
per la nomina di Di Maggio". Ma la seconda volta, il pm Di Matteo gli
comunica che la sua voce è stata "pizzicata" in una telefonata con
Mancino, intercettata dalla Dia. In quella telefonata, registrata il 25
novembre 2011, è lo stesso D'Ambrosio a rivelare a Mancino di aver
"assistito personalmente" alla stesura del decreto, scritto nell'ufficio
della Ferraro, per la nomina di Di Maggio a vice-capo del Dap.
Cosa dice il consigliere del Colle al telefono? "Qui - ammette - ormai
uno dei punti centrali della vicenda comincia a diventare proprio la
nomina di Di Maggio al Dap". E ancora: "Io ho assistito personalmente a
questa vicenda. ricordo chiaramente il decreto, Dpr, scritto nella
stanza della Ferraro. il Dpr che lo faceva vice-capo del Dap". Perché
non ne aveva parlato prima? D'Ambrosio si giustifica scaricando tutto su
Mancino: "Il senatore telefona tutti i santi giorni, perché si sente
sotto pressione". Ma il pm Di Matteo gli contesta le contraddizioni tra
le dichiarazioni del primo interrogatorio e la conversazione telefonica.
E qui D'Ambrosio, in palese difficoltà, annaspa: "Io voglio dire. la
mia idea non era il Dpr, era come la base del Dpr, cioè non c'era il
visto, visto, visto, non so se mi sono spiegato. (.) Cioè io quello che
sostengo è che può anche essere stata una bozza predisposta lì (.). Però
io il Dpr vero e proprio non l'ho visto".
È IPOTIZZABILE, sostengono adesso i pm della trattativa, che in
quell'ufficio di via Arenula, D'Ambrosio avesse collaborato più
attivamente, proprio come uno "scriba", alla stesura di quel decreto che
permise a Di Maggio, che non aveva i titoli, di andare a dirigere il
Dap al fianco di Adalberto Capriotti. Lo stesso che il 26 giugno '93,
subito dopo essere stato nominato, inviò una nota al ministro della
Giustizia Giovanni Conso, suggerendo di non prorogare i 41bis in
scadenza entro la fine dell'anno, per lanciare "un segnale di
distensione".
È il cuore della trattativa Stato-mafia: un passaggio sul quale, secondo
la Procura di Palermo, si allunga l'ombra del generale del Ros Mario
Mori. Nella requisitoria del processo per favoreggiamento alla mafia,
che si è concluso il 15 luglio scorso con l'assoluzione di Mori, il pm
Di Matteo ha sostenuto che, nel contesto della trattativa, in quei mesi
si muoveva in sinergia una robusta cordata istituzionale: e a tal
proposito ha citato proprio le parole di D'Ambrosio, al telefono con
Mancino: "Era un discorso che riguardava nella parte 41bis.
alleggerimento 41bis. Mori. Polizia. Parisi. Scalfaro e compagnia".
DOPO AVER LAVORATO agli Affari penali, D'Ambrosio fu vicecapo di
gabinetto dei guardasigilli Conso, Flick e Fassino. Era in via Arenula
uando il 23 dicembre '96, sotto il governo Prodi, il Parlamento decise
la chiusura delle carceri di Pianosa e dell'Asinara, lanciando un altro
segnale della "distensione bipartisan" in tema di mafia. Ma dei suoi
dubbi, di quei timori relativi agli "indicibili accordi" che ora i pm
vogliono chiarire direttamente con il capo dello Stato, non si sarebbe
saputo nulla se lo stesso inquilino del Colle non avesse rivelato un
anno fa l'esistenza della lettera del consigliere, indicato come vittima
di una campagna mediatica. Quella stessa lettera che adesso lo obbliga a
salire sul banco dei testimoni.
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=88843&typeb=0&Cosa-sapeva-D%27Ambrosio-degli-indicibili-accordi-
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