Il neo giudice della Consulta invia una lettera al quotidiano di Largo Fochetti per dare la sua versione sulla vicenda risalente agli anni '90. Prova a difendersi, ma dimentica di ricordare ciò che scrissero i giudici circa la sua posizione: "Telefonò per evitare una frittata", ovvero "il capitombolo del Partito Socialista"
C’è l’audio della telefonata, c’è quanto hanno scritto i giudici nelle carte del processo che portò alla condanna dei responsabili della tangente, tra cui Walter De Ninno, due anni e mezzo per ricettazione nei confronti di un imprenditore di Pisa. Eppure per Giuliano Amato la verità non è quella processuale. Lo scrive nella sua lettera a Repubblica......
Dopo aver ricordato che su questa vicenda testimoniò a Pisa nel novembre 1990, l’ex premier prova a raccontare la ‘sua’ versione dei fatti: “Non avevo affatto invitato la signora a non fare i nomi di coloro che le risultavano colpevoli – scrive il dottor Sottile – L’avevo invitata a non fare i nomi di persone su cui non aveva alcun indizio di colpevolezza, pur di salvaguardare la memoria di suo marito. In questo senso le dissi – continua Amato – di difendere lui, senza fare polveroni su altrui”. Poi il giudice Amato racconta come andò a finire: “Il tribunale ne prese atto e finì lì, mentre lì non sarebbe finita se si fosse ritenuto che avessi fatto o spinto a fare qualcosa di illecito”.
La sua versione, tuttavia, cozza con quanto scritto dai giudici, secondo i quali – come riportato dal Fatto Quotidiano due giorni fa – Giuliano Amato chiamò la vedova Barsacchi per evitare “una frittata”, intendendo per tale – scrivono i giudici del tribunale di Pisa Alberto Bargagna, Carmelo Solarino e Alberto De Palma a dicembre di quello stesso anno – “un capitombolo complessivo del Partito socialista“. I giudici vanno anche oltre e, nelle motivazioni della sentenza che condannerà i responsabili di quella tangente, si chiedono come mai “nessuno di questi eminenti uomini politici come Giuliano Vassalli (all’epoca ministro della Giustizia) e Amato stesso, si siano sentiti in dovere di verificare tra i documenti della segreteria del partito per quali strade da Viareggio arrivarono a Roma finanziamenti ricollegabili alla tangente della pretura di Viareggio”. Lo scrivono, nero su bianco, nel momento in cui condannano per la tangente i boss della Versilia del Psi e scagionano loro stessi la figura del senatore Barsacchi. Ma Giuliano Amato, questo, non vuole ricordarlo. Almeno nella lettera che scrive a Repubblica per rispondere al Fatto.
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