- Ernesto Galli Della Loggia.
La sentenza di condanna nei confronti di Berlusconi, emessa dal
tribunale di Milano, consegna ancora per chissà quanti anni i due
maggiori protagonisti della politica italiana - e quindi,
necessariamente, l'intera politica italiana in quanto tale - a una
virtuale condizione di ostaggio. Oggi più che mai, infatti, sia il Pdl
che il Pd sono soggetti su cui «si possono esercitare ritorsioni - così
recita la definizione di «ostaggio» sullo Zingarelli - nell'eventualità
che certe richieste non siano accolte».
Oggi come non mai il Pdl è ostaggio - verrebbe da dire di più:
prigioniero politico - di Silvio Berlusconi. Che questi decida di
liberarlo dalla sua presenza, di favorirne in qualche modo
l'emancipazione, è, dopo Milano, assolutamente impensabile. Il Cavaliere
ha bisogno del «suo» partito per restare un soggetto politico (e di
quale stazza!, egli è tuttora il vincitore in pectore di ogni eventuale
competizione elettorale), e in tal modo, grazie al proprio ruolo
pubblico, oscurare e annullare le condotte della sua figura privata.
Naturalmente, insieme al Pdl è tutta la Destra italiana ad essere
ostaggio del Cavaliere, anche se si tratta di un ostaggio preda da un
ventennio dalla «sindrome di Stoccolma».........
.........Il Pd, dal canto suo, solo a prima vista sta meglio. Che se ne renda
conto o meno, la sentenza milanese, infatti, lo consegna ancora più che
per il passato in mano al sistema giudiziario e al suo establishment
castale. A sinistra non sono molti, temo, coloro abituati a leggere sul
Fatto Quotidiano le puntuali, documentate analisi critiche di un valente
giurista e magistrato come Bruno Tinti circa la deriva
politico-correntizia in cui è da tempo immerso il Consiglio Superiore
della Magistratura e il tono malsano che esso così finisce per dare a
tutto l'ordine giudiziario.....
Sono molti di più, invece, coloro che da
anni vedono nella magistratura una preziosa alleata di fatto, capace tra
l'altro di risultati politici molto più risolutivi di quelli ottenuti
da un'azione e da una leadership di partito sempre, viceversa, ondivaghe
e incerte. La clamorosa condanna di Berlusconi non può che suonare come
una conferma di tutto ciò. E quindi dare ancora più spazio, se mai ce
ne fosse bisogno, a quell'area giustizial-movimentista alla sinistra del
Partito democratico che da sempre, con varie denominazioni, gli sta
piantata come una freccia nel fianco. Proprio quell'area
politico-culturale, va aggiunto, che finora ha impedito al Pd di essere
davvero un partito «a vocazione maggioritaria», padrone del proprio
operato, in grado di dare al Paese un governo di sinistra riformatrice
sottratto ai ricatti di coloro che a sinistra detestano ogni riformismo.
Sia chiaro: nessuno pensa che la magistratura debba farsi
condizionare dalle eventuali conseguenze politiche del suo operato. Ma
da quando è accaduto che vent'anni fa tale operato è valso a
disintegrare una maggioranza parlamentare, nonché il sistema dei partiti
del Paese, sarà pur consentito, spero, di valutare quell'operato anche
per i suoi effetti politici. Che nel caso di questa sentenza sono
pessimi: suonando come una ratifica della paralizzante immobilità della
scena italiana.
26 giugno 2013 | 12:30
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