PS: <<La risposta più convincente viene dalle dichiarazioni di giorni
orsono di Jacopo Morelli, Presidente dei giovani imprenditori di
Confindustria, che ha sottolineato come questa Italia "senza futuro" sia
"a rischio rivolta".>>....<< le famiglie a rischio sfratto, i piccoli
commercianti indebitati, si rendono perfettamente conto che la vittoria
di Marino piuttosto che quella di Alemanno, non cambierà una virgola
nella propria quotidiana corsa alla sopravvivenza.>>......due cose da tener presente!
umberto marabese
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Nuovo record dell'astensionismo alle urne. Più del 50% degli elettori non va a votare nella Capitale.
di Anna Lami
Roma ha un nuovo sindaco, il già senatore Ignazio Marino, stimato
medico, la faccia rassicurante da persona a modo, distante anni luce
nello stile e nel vissuto dal predecessore, il largamente sconfitto
Alemanno. Alleluia.
Il Pd gongola, ha conquistato tutti i capoluoghi di provincia, perfino
Treviso, storica roccaforte leghista, ha ceduto il passo alla
moderazione targata Manildo. Evviva.
Il Movimento 5 Stelle, dal canto suo, incassa una battuta d'arresto
che sarà pur parziale e provvisoria come sostengono i suoi supporters,
ma senz'altro stride parecchio con la "rivoluzione guidata dalla rete"
che si era prefigurata lo scorso febbraio. A parte in alcune realtà
minori, il ridimensionamento del movimento di Beppe Grillo è tale da
far cantare vittoria a quella stampa che non ha perso occasione per
sottolinearne i limiti. I "veloavevodettoio" si sprecano tra i
commentatori più fini, i profeti che avevano qualificato il voto delle
politiche come una sbandata collettiva, oppure la punizione ai litigiosi
vecchi partiti che non dimostravano sufficiente senso di
responsabilità.....
Ma il vincitore senza rivali, il primo vero partito degli italiani
resta l'astensione. Che anzi avanza e segna nuovi record. Alle elezioni
comunali circa la metà degli aventi diritto non si è recata al seggio.
Il dato è particolarmente significativo soprattutto nella Capitale, dove
l'affluenza definitiva al ballottaggio è stata del 44,93%, contro il
63,12% del 2008. Non proprio una cosetta di poco conto. Ma fanno
spallucce i politologi più accreditati, come ad esempio dalle pagine del
Corriere della Sera il Professor Roberto D'Alimonte, per cui "un alto
livello di partecipazione non è necessariamente una cosa buona", ed il
paese sta semplicemente compiendo il periplo verso l'uniformazione agli
standard europei, che normalmente vedono una partecipazione elettorale
notevolmente inferiore rispetto alla nostrana.
Del resto anche negli Stati Uniti d'America, come ci rammenta
D'Alimonte, a votare si recano normalmente meno della metà degli aventi
diritto, "e non si può certo dire non sia un paese democratico". Vero,
verissimo: l'astensione certifica che la politica, anche quella
meramente amministrativa, è tornata ad essere cosa per pochi. Non
mancano, tra gli analisti, quanti individuano nel crescente
"qualunquismo" la causa della mancata partecipazione alle votazioni.
Altri ripropongono la diagnosi della fine delle ideologie (che forse
poteva tenere ancora dieci anni orsono) la ragione prima del distacco
tra la politica ed il popolo.
Un secolo fa le élite oligarchiche di mezzo mondo assistevano con
stupore ed impreparazione all'irruzione delle masse sulla scena
politica. Sarebbe dunque quella che stiamo vivendo una fase di deciso ed
inesorabile riflusso dalla terreno della politica istituzionale, che
torna ad essere diletto di pochi aficionados?
La risposta più convincente viene dalle dichiarazioni di giorni
orsono di Jacopo Morelli, Presidente dei giovani imprenditori di
Confindustria, che ha sottolineato come questa Italia "senza futuro" sia
"a rischio rivolta". Il fattore scatenante del malcontento sempre più
diffuso, che il 25 febbraio alle elezioni politiche si era espresso con
il voto al Movimento 5 stelle, e che ora si è manifestato
nell'astensione, è la gravità della situazione economica che vasti
settori popolari stanno sopportando. Tutte le altre giustificazioni
dell'astensione possono concorrere solo in misura secondaria. I
disoccupati, i precari, le famiglie a rischio sfratto, i piccoli
commercianti indebitati, si rendono perfettamente conto che la vittoria
di Marino piuttosto che quella di Alemanno, non cambierà una virgola
nella propria quotidiana corsa alla sopravvivenza.
In massa quest'Italia non va alle urne perché il teatrino della
politica non la riguarda più. Spadroneggia la sensazione diffusa, anche
se intuitiva e prepolitica piuttosto che pienamente consapevole, del
definitivo divorzio tra politica dei partiti ufficiali e bisogni
concreti dei tanti.
Addetti ai lavori, opinionisti dei quotidiani main stream e politologi
vari persistono nel sottovalutare, talvolta in sicura malafede,
altrettanto spesso per cronica ignoranza delle condizioni di vita delle
masse popolari, la sofferenza crescente (palesata anche in questi giorni
dai suicidi di uomini rovinati dalla crisi) che attraversa una fetta
sempre più ampia della popolazione italiana.
I risultati delle politiche di febbraio e l'astensione dilagante di
questa tornata di amministrative testimoniano che le condizioni per
un'esplosione della rabbia sociale iniziano ad approssimarsi. I soggetti
politici del cambiamento, invece, ad oggi non sono pervenuti.
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