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sabato 8 giugno 2013

Barack Obush e lo spionaggio totale. di Pino Cabras



Testate di tutto il mondo riprendono la prima pagina dell'HuffPost: "George W. Obama". Mi suona familiare, avendo scritto il libro "Barack Obush". endo scritto il libro "Barack Obush". [Pino Cabras]


Giornali e siti di tutto il mondo riprendono divertiti la prima pagina dell'Huffington Post, che cavalca lo scandalo sullo spionaggio di massa e spara un titolo cubitale: GEORGE W. OBAMA. Più sotto al titolone dell HuffPost, ecco un'illustrazione: un morphing fra la faccia di Bush e quella di Barack. Mi suona tutto così familiare, avendo io scritto nel 2011, assieme a Giulietto Chiesa, un libro intitolato "Barack Obush". .....

L'edizione russa, intitolata «Global'naja Matrica» (ossia "La Matrix globale", titolo quanto mai attuale), ha in copertina proprio il morphing fra i due ultimi presidenti USA. Come spesso accade, i grandi media arrivano sulle cose con un ritardo di anni.

Nel frattempo, gli scettici a targhe alterne ci avevano inondato di richieste: le prove, le prove di quel che dite!
Se raccontavamo in rete quel che ora è ovunque, orde di troll non volevano concederci un centimetro, ci inondavano di provocazioni, frasi irritanti, insulti, squadrismo elettronico, "character assassination", diversioni fuori tema o semplicemente senza senso, con l'obiettivo di intralciare la comunicazione, denigrarci.

Per loro eravamo i «complottisti», il neologismo-truffa del nuovo secolo. Non capivano (o non volevano capire) che non inseguivamo complotti, ma descrivevamo un modo di funzionare del potere: sempre più opaco, menzognero, segreto, sempre più lontano dalle divisioni tradizionali dei poteri, e sempre più condizionato da strutture incentrate sull'uso massiccio e spregiudicato delle telecomunicazioni.
Nel libro abbiamo descritto così questo fenomeno:
«Sullo sfondo del Patriot Act, la legge liberticida votata da Bush e ri-votata senza tentennamenti da Obama, si è dunque formata un'enorme rete parallela, che agisce in nome della sicurezza. Strutture non trasparenti, semi-private ma coperte da strati di legittimazione (e ingenti fondi) pubblici, sono diventate via via più importanti, costose e letteralmente "incontrollabili".
L'11 settembre 2001, questa entità esisteva già nel corpo degli apparati USA. Fu quel giorno che decise di diventare una metastasi. Obama non ha nemmeno provato a cambiarla.
Chissà in che modo l'attuale inquilino della Casa Bianca interpreta la frase che pronunciò Benjamin Franklin agli albori della storia degli Stati Uniti: "Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza"».
La risposta al nostro interrogativo è arrivata adesso: il presidente democratico dichiara che in nome della «sicurezza» tutto quel sistema è legittimo.

Obama rivendica un sistema che legge le e-mail di tutti in tutto il mondo, sa cosa spendiamo e dove, classifica i nostri gusti individuali, carpisce tutti i segreti industriali, sa a chi telefoniamo, quali amici abbiamo, e molto, moltissimo altro ancora, nella vita di tutti i cittadini, tutte le organizzazioni, tutti gli apparati.

Nessun potere totalitario nella storia ha mai avuto accesso a una simile completezza di profili individuali né ha mai potuto agire altrettanto a fondo dentro gli uffici, fino ad avervi degli occhi per vedere tutto, quando voleva: con le webcam attivate segretamente, con la lettura diretta dei nostri documenti e delle nostre schermate.

Di fronte a una simile dichiarazione di guerra alle Costituzioni e alle sovranità di tutto il mondo ci si aspetterebbe qualche reazione, almeno per non guadagnarsi la lucidissima invettiva di Franklin: non meritare «né la libertà né la sicurezza». 
Al momento c'è solo qualche debole reazione degli eurocrati, come quella del commissario agli affari interni Cecilia Malmstroem: «Siamo naturalmente preoccupati per le possibili conseguenze sulla privacy dei cittadini europei, ma è presto per trarre delle conclusioni», ha affermato la Malmstroem. Questo sì che è 'sopire e troncare'. E ha promesso: «Contatteremo la nostra controparte americana per avere ulteriori informazioni». Se questo scambio transatlantico sarà tempestivo come nel caso dei dati interbancari, staremo freschi.

Manco a dirlo, sinora, politici italiani non pervenuti.
Figuriamoci se Enrico Bilderberg Letta dirà qualcosa. E neanche Gianroberto Casaleggio, se è per questo, lui che prevede in futuro una guerra mondiale in cui le dittature orientali "orwelliane" saranno sconfitte dall'occidente di Google. Sì, Google, ossia una delle entità più orwellianamente compromesse con il sistema, come appare nello scandalo di questi giorni. Qualche aggiustamento di prospettiva servirà anche dalle parti dell'opposizione.
In ogni caso l'Imperatore è nudo, e quindi i silenzi, le politiche sbagliate e le distrazioni saranno messi a dura prova. La retorica obamiana è a pezzi. Nemmeno l'Italia potrà fare finta di nulla.

Obama ha realizzato delle discontinuità nella narrazione del potere rispetto al predecessore, e a molti ingenui questo potrà ancora bastare. Ma Obama è in realtà un continuatore dello Stato profondo, che i presidenti non osano cambiare. 
Quel grumo oscuro, impersonale e potente, viene semplicemente assecondato nelle sue evoluzioni (anche quando le evoluzioni agiscono come crescite tumorali negli equilibri dei poteri). Oggi il presidente va al servizio dello Stato profondo - apparati, comitati d'affari, complesso militare industriale, reti di spionaggio - dando sempre più volume agli apparati "securitari".
Il capitolo finale di Barack Obush è dedicato proprio alla descrizione delle cause di questa continuità, che resistono anche alla diversa stoffa degli interpreti sulla scena del potere, perfino quando a un buono a nulla capace di tutto come George W. Bush succede un presidente cool che si becca il Nobel per la Pace "a prescindere".
Preso dai discorsi su Google, ho digitato "Barack Obush", e fra le prime voci in lista trovo una recensione negativa che mi era sfuggita, apparsa nel 2011 su Giornalettismo e opera di un tizio, tale John B., che non si era nemmeno preso la briga di leggere il libro, incorrendo così nell'incidente più squallido che possa capitare a un recensore.

No, non parlo dei suoi misteriosi cenni a «nostalgici sognatori di quella rivoluzione delle masse operaie che non si è mai concretizzata», che devono essere una scopiazzatura di un freschissimo discorso di Mario Scelba, e tralascio anche altri passaggi che dimostrano che il recensore ha "letto" il libro con la tecnica di lettura veloce di Woody Allen, quando questi diceva di aver divorato Guerra e Pace in sette minuti ("Parlava di certi russi").
Il centro dello squallore è la lezioncina che John B. ci impartisce: «Nessun uomo al mondo può andare alla presidenza degli Stati Uniti e cambiare in pochi anni la rotta inerziale di una simile massa. Si possono fare aggiusti di traiettoria, si possono fare piccoli spostamenti per bilanciare meglio e diversamente i pesi, niente più.» Se avesse letto il libro, era esattamente quel che spiegavamo. Ma per John B. la lettura di ciò che si recensisce è un optional. In tedesco i parolai a vuoto come lui li definiscono Sprachpedanten.

Comunque il recensor precox di Giornalettismo non è l'unico Sprachpedant a piede libero. Potremo scommettere che legioni di giureconsulti improvvisati proveranno a giustificare l'ingiustificabile, e ci vorranno insegnare che tutta la libertà che perdiamo è per il nostro bene, nell'era di Barack Obush.
Potremo provare a resistere alle loro menzogne discutendone in una mailing list, o in una teleconferenza, salutando nel mentre i robot delle agenzie di spionaggio americane in ascolto come un tempo si salutava il maresciallo delle rudimentali stazioni di ascolto analogiche.

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