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venerdì 3 maggio 2013

<<...denuncio i superiori: "bloccate le mie indagini sui boss Provenzano e Messina Denaro....>>"il caposcorta del Magistrato Nino Di Matteo

 

PS: Non c'è niente da commentare.........!
umberto marabese
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Nell'esposto il caposcorta del pm Nino Di Matteo racconta degli anni tra il 2001 e il 2007. E spiega di essere stato più volte sulla buona strada per catturare i padrini di Cosa Nostra, ma di essere sempre stato fermato.
08:43 - Oggi è il caposcorta del pm Nino Di Matteo, il magistrato che ha portato alla sbarra i vertici del Ros accusandoli di aver favorito la latitanza dei padrini di Cosa Nostra. Dal 2001 al 2007, invece, è stato lui stesso uno dei "cacciatori di mafiosi". E ieri, a distanza di anni, il maresciallo Saverio Masi ha presentato una denuncia, facendo nomi e cognomi dei superiori che avrebbero bloccato le sue indagini su Provenzano e Messina Denaro.
Nel 2001, racconta il Corriere della Sera, Masi chiede di occuparsi della cattura di Bernarno Provenzano all'interno del Nucleo Provinciale di Palermo; invece, viene spedito a Caltavuturo, sulle Madonie
. Ciononostante si mette di propria iniziativa sulle tracce del boss, e riesce a individuare il contatore Enel riconducibile a chi gestiva la latitanza di Provenzano ben cinque anni prima della sua cattura. I superiori però, accusa il maresciallo nella denuncia, gli chiedono con suo stupore di sospendere le indagini.
Masi descrive quindi il tentativo di piazzare le cimici nel casolare di Provenzano, fallito perché il Ros aveva dimenticato gli attrezzi per forzare la serratura. E poco dopo al maresciallo viene ordinato di sospendere il pedinamento del postino del boss, e gli viene negata l'autorizzazione per compiere accertamenti su una macchina per scrivere che sospetta sia stata usata per i "pizzini" del padrino.
Oltre che con Provenzano, Masi ha a che fare anche con la latitanza di Messina Denaro: seguendo il caso delle "talpe" alla Procura di Palermo, pedina Francesco Mesi, sospettato di essere uno dei favoreggiatori del capomafia, e scopre un casolare nella campagna tra Bagheria e Misilmeri. Il maresciallo vuole continuare le indagini con telecamere e microspie, ma il suo superiore lo spedisce in ferie. Allora lui organizza un appostamento proprio al casolare, e una notte assiste a una riunione alla quale, con tutta probabilità, sta partecipando anche il boss. Ma la sua scoperta non ha seguito: nonostante la sua relazione ai superiori, niente si muove.

Masi, racconta ancora il quotidiano di via Solferino, ha però una seconda occasione di catturare Messina Denaro: nel marzo 2004 a Bagheria evita lo scontro con un'utilitaria che gli taglia la strada, e riconosce alla guida proprio Matteo Messina Denaro. Allora lo segue e lo vede entrare in una villa, dove ad attenderlo c'è una donna. Annota tutto e chiede l'autorizzazione per proseguire le indagini. I superiori, però, gli chiedono di cancellare dalla relazione l'identità del proprietario della villa e quella della donna.
Il maresciallo, alla fine, comincia a sospettare che i suoi superiori non abbiano nessuna intenzione di catturare i boss di Cosa Nostra. E uno dei suoi ufficiali glielo dice chiaro e tondo: "Non hai capito niente allora? Ti devi fermare! Hai finito di fare il finto coglione? Dicci cosa vuoi che te lo diamo. Ti serve il posto di lavoro per tua sorella?". E qui Masi resta sconcertato: nessuno nell'Arma sapeva che la sorella fosse disoccupata.

 

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